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Leader e team coaching verso il successo

Società Italiana Coaching AziendaleCoaching Leader e team coaching verso il successo
Leader e team coaching verso il successo intervista

Leader e team coaching verso il successo

L’argomento di questo articolo è davvero interessante: Leader e team coaching verso il successo. Per parlare di questo, Rachel Salaman, studiosa letteraria, pubblicista e commentatrice culturale, ha intervistato Phil Hayes. Quella che segue è la trascrizione integrale dell’intervista. Entriamo quindi ad approfondire le dinamiche del Team e alla Leadership del Team, e in particolare al ruolo che il Coaching può svolgere nell’aumentare la produttività e le prestazioni.

La vita segreta del team

Rachel Salaman: Il mio ospite è Phil Hayes, Direttore Esecutivo della consulenza di formazione e coaching, della Management Futures Limited. Ha lavorato con organizzazioni per lo sviluppo del team per oltre 20 anni e ha anche guidato un certo numero di suoi team. È anche l’autore di un nuovo libro, “Leading and Coaching Teams to Success: The Secret Life of Teams”. Quando ho incontrato Phil a Londra, ho iniziato chiedendogli di quel sottotitolo, cosa intendeva con The Secret Life of Teams?

Phil Hayes: Penso che la vita segreta si riferisca davvero a due dimensioni della vita di squadra: una è l’inconscio, cioè le dinamiche, spesso non riconosciute, che esistono tra le persone del team (e talvolta anche le dinamiche intrapersonali che le persone non capiscono); e la seconda cosa è il grado in cui la cultura del team è diretta dalla cultura organizzativa, e spesso non viene riconosciuto come un fattore importante nel comportamento e nelle prestazioni di un team.

 

Rachel Salaman: Quindi quanto è utile capire davvero questi due elementi?

Phil Hayes: Penso che sia davvero utile. Penso sia qualcosa che a volte tieni per te, che ti informa su qualcosa che sta succedendo e che non porti necessariamente alla consapevolezza dei membri del gruppo; a volte, contrariamente a quanto ho appena detto, è qualcosa di davvero importante da portare all’attenzione della squadra. Quindi, ad esempio, se noti qualcosa nel loro linguaggio che riflette la cultura dell’organizzazione, portarlo alla loro attenzione a volte è come accendere una lampadina per loro; in questo modo, qualcosa che danno per scontato viene portato alla loro attenzione.

 

Rachel Salaman: Lavori con i team da circa 20 anni?

Phil Hayes: Esatto.

Rachel Salaman: Quali sono le sfide più comuni che devono affrontare?

Phil Hayes: Beh, direi che ci sono sfide di superamento oppure uno scarso successo, in termini molto ampi, quindi a volte, quando un team sta andando bene, non necessariamente riconosce la necessità di continuare a svilupparsi e migliorare, e il risultato insufficiente a volte è di nuovo qualcosa di non riconosciuto. Ho lavorato con molti team, consapevoli che non stanno raggiungendo un risultato sufficiente, ma nessuno ne parla davvero, resta un “non detto”. Nella mia esperienza, queste due variabili sono davvero abbastanza frequenti.

 

Rachel Salaman: Nel tuo libro parli molto di coaching.

Phil Hayes: Sì.

Rachel Salaman: E parli anche di allenamento e di guida del Team.

Phil Hayes: Sì.

Rachel Salaman: Allora come si relazionano queste tre cose?

Phil Hayes: Bene, si relazionano tutte tra di loro e in una certa misura sono interconnesse. Quello che stavo cercando di esprimere nel libro era l’idea che, se vuoi adottare un approccio di coaching nei Team, hai bisogno anche di altre abilità che integrino l’approccio di coaching:  devi essere in grado di facilitare la discussione di squadra, devi essere in grado per consultare l’organizzazione, devi anche essere in grado di fornire quelle che a volte vengono chiamate attività di team building per i team, (sessioni strutturate che consentano loro di apprendere in modi particolari) e tutte queste cose migliorano il ruolo di coaching. Al centro del ruolo di coaching c’è davvero la capacità di tirare fuori i problemi della squadra e imparare che loro stessi sono in grado di scoprire. Questo è il vero cuore dell’approccio di coaching, tirare fuori l’intraprendenza della squadra.

 

Rachel Salaman: Quindi, secondo te, fino a che punto un Leader, qualsiasi Leader, dovrebbe anche aspirare a diventare un Coach?

Phil Hayes: Beh, penso che faccia parte del repertorio che un leader moderno deve avere, e non è un sostituto per tutto il resto, direi che fa parte di uno spettro di abilità. Quindi un leader deve sapere quando essere direzionale, deve sapere quando delegare e deve anche essere un Coach; penso che la consapevolezza di cosa fare, e quando, sia davvero una parte importante di ogni Leader. Non dovresti allenare tutto il tempo, ad esempio, è importante sapere quando è una buona idea essere un Coach e sapere come farlo.

 

Rachel Salaman: Come può un Leader sapere quando essere Coach?

Phil Hayes: Beh, per esempio, se il gruppo ha bisogno di trovare la soluzione al problema, cioè, se devono essere in grado di pensarci tutti insieme, perché devono gestire il problema collettivamente, allora questo è davvero un buon indicatore del fatto che il coaching sarebbe appropriato. Se è solo qualcosa che la squadra deve fare, sai, in una sorta di modo transazionale, il coaching potrebbe non essere appropriato. Quindi, quando una squadra deve imparare insieme, quando una squadra deve assumersi la responsabilità insieme, quando una squadra deve collaborare insieme e trovare una soluzione insieme, questo è spesso un indicatore del fatto che il coaching è l’approccio giusto.

 

Rachel Salaman: Che differenza c’è tra coaching del Team e coaching individuale? Qual è più importante?

Phil Hayes: Sono entrambi importanti, li faccio e sono utili entrambi. Probabilmente la differenza fondamentale è abbastanza ovvia. Nel coaching individuale c’è un grado di intimità, è molto più personale; otterrai chiarimenti e un livello di rivelazione approfondito, che non potresti ottenere, anzi, quasi certamente non arriverai ad ottenere in un contesto di squadra. Quindi si tratta di entrare in sintonia con una persona, si tratta di scavare molto nei loro problemi e negli argomenti che ritengono importanti; è molto personale e quello che trovi nel coaching individuale è che nessuna soluzione di gruppo si adatterà mai, quindi le persone devono letteralmente trovare la propria strada da seguire. Nei team non è così intimo, c’è quella dimensione pubblica, molte difficoltà a lasciarsi andare, rispetto a una sessione di coaching individuale.

 

Rachel Salaman: Quindi ancora una volta il team leader o il Coach devono sapere quale di questi due approcci sono appropriati?

Phil Hayes: Assolutamente sì.

Rachel Salaman: E come possono scegliere?

Phil Hayes: Beh, non sono necessariamente esclusivi, in effetti dovrebbero essere complementari; un team leader dovrebbe essere in grado di adottare un approccio di coaching con la propria squadra e anche adottare un approccio di coaching individuale con ogni singolo membro dello staff. Sono due approcci diversi e interscambiabili, sono “diversi attrezzi di lavoro”.

 

Rachel Salaman: Hai un esempio di situazioni diverse che si adattano a ciascuno di questi approcci?

Phil Hayes: Certo. Se devi gestire una crisi, ad esempio un’emergenza, probabilmente non adotterai un approccio di coaching, probabilmente non chiederai alle persone come si sentono riguardo alle cose: guarderai a una serie di opportunità, probabilmente sarai più decisivo. Se, d’altra parte, stai pensando alla strategia futura per un lungo periodo, allora un approccio di coaching può essere molto appropriato.

 

Rachel Salaman: C’è un passaggio interessante nel tuo libro, in cui descrivi la teoria di Meredith Belbin sui ruoli informali del team. Per coloro che non la conoscono, puoi semplicemente spiegare come funziona?

Phil Hayes: Volentieri. Funziona osservando qual è il ruolo informale delle persone in una squadra, quindi al di fuori del loro ruolo specifico. Quindi non guarda a cosa potrebbero fare come specializzazione funzionale, non guarda se sono interessati alla finanza o alle risorse umane o cose del genere, guarda come si comportano nella dimensione della squadra. Alcune persone, ad esempio, sono persone che tendono a preoccuparsi molto delle procedure del team e tendono a preoccuparsi molto di come funziona il team, altri sono molto concentrati, ad esempio, sull’essere completatori, si assicurano che il lavoro venga completato, altre persone amano guidare e sono presenze molto dinamiche nella squadra, e il lavoro di Belbin lo esamina in dettaglio. L’ho trovato molto utile con i team, perché viene riconosciuto, le persone lo accettano, dicono “Sì, lo riconosco” e se fai un profilo di squadra, le persone diranno “Ah, ecco perché non finiamo mai nulla” o “Ecco perché tendiamo a correre via, perché non ci sediamo e pianifichiamo”. Nello specifico, offre alle persone una sorta di linguaggio da utilizzare, in cui possono esplorare l’efficacia del team e il modo in cui gli individui si comportano all’interno.

 

Rachel Salaman: Non c’è però il rischio che possa portare a incasellare le persone, che non sono viste come una persona complessa e a tuttotondo, e potrebbero finire per essere sottoutilizzate all’interno del team?

Phil Hayes: Penso che, in effetti, con questa domanda, hai colpito nel segno sull’uso di molti strumenti psicometrici. Se dai alle persone una spiegazione superficiale, è probabile che abbiano una concezione stereotipata di se stessi, sulla base di una teoria. Quindi, devi stare molto attento a presentare la cosa in modo ragionevolmente completo e dare alle persone la possibilità di capirla a fondo; devi dare loro l’opportunità di lavorarci sopra e di acquisire una reale familiarità con essa, e di capirla per quello che è veramente; capire che è stata data per aiutarli a crescere e imparare, al contrario degli stereotipi, e questo può richiedere un po’ di tempo. Quindi tenderei, se introducessi qualcosa come la teoria di Belbin, a reintrodurla, a parlarne di nuovo, approfonditamente.

 

Rachel Salaman: Quindi, ti chiedo, se prendi da esso ciò che è utile ma non devi prenderlo troppo sul serio, forse non si può adattare esattamente?

Phil Hayes: In realtà penso che Belbin sia molto, molto brava in questo, perché è qualcosa che puoi prendere a un livello relativamente leggero. Alcuni dei parametri psicometrici, ad esempio, l’inventario del tipo Myers-Briggs, non è proprio uno strumento leggero, è uno strumento molto complesso e profondo e non puoi davvero giocarci troppo. Con la teoria di Belbin, puoi avere un elemento un po’ giocoso; a volte darò a una squadra un esercizio pratico da fare, una specie di esercizio esperienziale, vedremo come le persone hanno lavorato e lo confrontiamo con quello che è uscito dai loro profili Belbin, così puoi divertirti un po’ e dargli vita.

 

Rachel Salaman: Tutte i team tengono riunioni: hai qualche suggerimento, estratto dal libro, su come rendere le riunioni di squadra il più efficaci possibile?

Phil Hayes: Ebbene, il consiglio numero uno credo sia di avere una specifica per ogni argomento da discutere. Quindi, se scrivi solo che l’argomento da discutere è X, hai solo il titoloto X; il pericolo è che a nessuno sia davvero chiaro cosa ottenere da una conversazione sull’argomento X. Quindi direi che il consiglio migliore sarebbe pubblicare l’argomento X e dire: “Questa discussione ha lo scopo di raggiungere una decisione”, o è finalizzata a suscitare idee o finalizzata solo al trasferimento di informazioni, in modo che le persone sappiano a cosa si sta cercando di arrivare rispetto a quell’argomento. La riunione potrebbe quindi essere presieduta in modo da non divagare e può essere un vero risparmio di tempo. Suggerimento numero due, penso che, se stai presiedendo una riunione di squadra, devi prestare anche attenzione al linguaggio del corpo e, soprattutto, presti attenzione a ciò che non viene detto: non prendi il silenzio come un assenso, a volte è solo una specie di protesta silenziosa, quindi direi che prestare attenzione al non detto così come al parlato è davvero importante.

 

Rachel Salaman: Le persone esprimono ciò che pensano?

Phil Hayes: Penso di sì, penso che l’abilità di dare un feedback alle persone e in modo abbastanza leggero sia utile in una riunione, così come potrebbe essere utile in una sessione di coaching. Quindi potresti dire, se stai presiedendo una riunione: “Ho notato, Tom, che quando siamo arrivati ​​a quella decisione, in realtà hai scosso la testa e hai guardato a terra, mi chiedo cosa stai davvero pensando su questo”, invece di lasciar perdere.

 

Rachel Salaman: Sembra che sia molto importante l’atmosfera generale della riunione, è qualcosa che il leader della squadra o il presidente della riunione hanno sotto il loro controllo?

Phil Hayes: Beh, penso che abbia un’enorme influenza, e sono sicuro che anche tu ci hai prestato attenzione. Ho partecipato a migliaia di riunioni, piuttosto non strutturate, senza scopo e tortuose, che sprecano ore e perdono motivazione. Per il mio business, avere una riunione ben gestita, ben presieduta, propositiva e strutturata in modo molto chiaro, è qualcosa che la maggior parte delle persone apprezza e penso che generalmente sia responsabilità del leader della squadra, che può anche allenare altre persone del Team per assumere quel ruolo, come parte del loro sviluppo.

 

Rachel Salaman: Uno dei capitoli più utili del libro si chiama “Handling the Problematic Team” ossia, “Gestire la squadra problematica”. In che modo una squadra può essere problematica?

Phil Hayes: Oh Dio, quanto tempo abbiamo per questa particolare domanda? In tanti modi, è davvero difficile individuare solo uno o due modi. Ci sono squadre che sono troppo maschiliste nel loro approccio; a volte parlo di squadre un po’ tossiche, dove c’è una sorta di tossicità emotiva; altre volte ci sono squadre che mancano di chiarezza su ciò che stanno cercando di fare, e penso che molti altri comportamenti possano derivare dalla mancanza di chiarezza e dalla mancanza di scopo di base. Quindi, in risposta a ciò, penso che ci siano molti modi in cui un team leader e un team coach possono convincere una squadra a essere molto, molto chiara e molto, molto concentrata su ciò che stanno cercando di ottenere, e con questo penso di chiarire alcuni degli altri comportamenti potenzialmente problematici.

 

Rachel Salaman: Possiamo parlare di un paio di quelli che hai menzionato?

In primo luogo, la squadra macho, che nel tuo libro specifichi che può essere composta da donne, oltre che da uomini. Quali sono i segni di una squadra di macho?

Phil Hayes: Beh, ce ne sono tanti e vari. Voglio dire anche che una squadra maschilista può essere una squadra piuttosto eccitante e piuttosto potente, non è affatto male, ma devi fare attenzione ad alcuni dei lati negativi. Ci sono squadre di macho con cui ho lavorato che sono estremamente energiche, piene di persone molto intelligenti e determinate, eppure non funzionano necessariamente in modo efficace come una squadra, in parte perché vedi persone che competono tra di loro. A volte minano la situazione, spesso i ragazzi usano la giocosità; le battute, che a prima vista potrebbero sembrare solo divertenti, possono essere corrosive e ho visto molte squadre in cui le battute vengono usate come arma. A volte vedi squadre che sono… Stavo per dire sessiste ma non è sempre sessista, ma ci sono molti “ismi” che puoi osservare nelle squadre, spesso sono intolleranti nei confronti di chiunque non sia come loro. Spesso sei così impaziente in una squadra di macho che “guarda il proprio ombelico”, che in effetti potrebbe essere molto importante, rivedere o cercare di imparare come stanno lavorando. Ci sono un sacco di comportamenti spinosi e talvolta piuttosto aggressivi, sì.

 

Rachel Salaman: E cosa può fare un team leader per tutto questo?

Phil Hayes: Non è qualcosa che puoi cambiare dall’oggi al domani, direi, ma è qualcosa che devi affrontare e prendere sul serio, perché ho visto squadre separarsi e ho visto buoni leader intuire cosa stava succedendo; un buon Team Leader è chi solleva il problema invece di scappare da esso, chi lo affronta, chi affronta gli individui e il loro comportamento; è necessario un po’ di coraggio morale e chiarezza intellettuale per affrontarlo davvero e per assicurarsi che queste cose non vengano lasciate marcire, perché se vengono lasciate alla deriva, queste squadre possono diventare davvero molto problematiche.

 

Rachel Salaman: Il tuo libro include molti casi di studio. Uno di questi parla di una squadra con cui hai lavorato e che hai chiamato The Rubber Barons. Vorresti parlarci di qual era il loro problema e come l’hai affrontato?

Phil Hayes: Beh, devo dire che è passato molto tempo, ma ho lavorato con loro per diversi anni, ed erano un archetipo team di macho. Erano costruttori di imperi, quindi li ho chiamati i Baroni di Gomma, hanno passato molto del loro tempo a fare politica per i propri interessi all’interno di un’organizzazione altamente politica. Tendevano a competere piuttosto che collaborare, tendevano a cercare di dominare nella discussione.

 

Rachel Salaman: Cosa hai fatto, come ti sei comportato per risolvere questo atteggiamento?

Phil Hayes: Vorrei che ci fosse una risposta facile, piacevole e intelligente ma voglio essere onesto con te. Ho dovuto essere molto insistente con loro, semplicemente non me ne andai per un po’, finché non cominciarono a trovarmi utile. Abbiamo fatto alcune cose molto pratiche e ciò che abbiamo scoperto molto presto è stato che non sapevano davvero cosa stessero facendo, avevano un’organizzazione molto complessa, erano impantanati con una iniziativa dietro l’altra. Erano anche orgogliosi di se stessi nell’ammettere: “Siamo un po’ persi e un po’ bloccati“. Quindi abbiamo fatto un esercizio di mappatura molto pratico, controllando tutti i diversi progetti che avevano e assicurandoci che fossero in grado di organizzarli.

 

Rachel Salaman: Ora hai menzionato le squadre tossiche. Penso che la maggior parte delle persone capirebbe cosa si intende qui, ad esempio incolpare, bullismo, cricche, favoritismi e così via. Quali passi può intraprendere un team leader o un Coach per cercare di sbarazzarsi di quella tossicità?

Phil Hayes: Beh, ho scoperto che in pratica si tratta di essere abbastanza audaci da nominare il problema e sottolineare cosa sta succedendo, almeno per come lo vedi tu, e produrre alcune prove per questo, per renderlo legittimo. A volte questi comportamenti sono indiscutibili; sono così profondamente nascosti nei termini del discorso cosciente del gruppo, vengono ignorati ma sono presenti tutto il tempo. Quindi portare queste cose alla consapevolezza e metterle sul tavolo per affrontarle, è qualcosa che un Team Coach può aiutare a fare e che il leader della squadra dovrebbe fare.

 

Rachel Salaman: Quante volte, ad esempio, la tossicità dipende da un solo membro tossico della squadra?

Phil Hayes: Beh, questa è una domanda molto interessante e mi sono imbattuto in Team in cui ci sono una o due persone che determinano una tossicità; spesso sono individui abbastanza potenti, che creano un po’ di paura, fanno persino paura al Leader, e può diventare troppo difficile per il team Leader affrontarli, se è spaventato da loro; ho visto una o due squadre dominate da personaggi come quelli, sì.

 

Rachel Salaman: Come fai a sapere quando una squadra ha superato il punto di non ritorno, che ha solo bisogno di essere sciolta e ricominciare?

Phil Hayes: Questa è un’altra grande domanda. Ho lavorato solo con due o tre squadre del genere in circa 20 anni, dove ho dovuto “lavarmene le mani”. Penso che il punto di non ritorno, per me, è stato quando abbiamo continuato a sollevare problemi, quando si sono promessi l’un l’altro che apporteranno dei cambiamenti e continuavano a non mantenere la loro promessa; non importa quante volte lo ripeti a loro e non importa quanto spesso si impegnino a fare qualcosa di diverso, le vecchie abitudini semplicemente non andranno via; continui a provare, ad affrontare il problema. Ovviamente devi essere flessibile, puoi provare molti approcci diversi per aiutarli ad affrontare queste cose, ma se alla fine non hanno la volontà di farlo, allora devi andartene. Ci sono state un paio di volte in cui ho dovuto farlo, con rammarico potrei dire, perché sembra un po’ un fallimento, sai, se devi farlo.

 

Rachel Salaman: Nel libro sottolinei che l’autogestione per il Team Leader o per il Coach è un precursore essenziale per affrontare qualsiasi comportamento difficile, cosa intendi esattamente per autogestione in questo contesto?

Phil Hayes: Penso che la radice di tutto ciò risieda nella propria gestione emotiva, l’inizio è capire te stesso, capire cosa ti guida e quali sono i tuoi valori e le tue convinzioni; è importante conoscere anche i tuoi “punti caldi emotivi”, capire il tipo di comportamenti, creati da altri, che possono turbarti. Penso che sia un processo necessario e consapevole, per capire su cosa ti concentri quando lavori con un gruppo, e a cosa sei attaccato, emotivamente oltre che intellettualmente. Faccio un esempio di cosa intendo per attaccamento; per esempio, sono attaccato emotivamente al successo del gruppo, voglio che il gruppo abbia successo, ma voglio che abbia successo per se stesso. Non diventa il Phil Show, non diventa lo spettacolo per il Team Coach. Provo attaccamento quando ho un buon rapporto con il gruppo, ad essere ragionevolmente aperto e amichevole con il gruppo, ma non sono attaccato emotivamente alla guida del gruppo, non voglio che necessariamente mi si abbracci o che mi si includa come un membro della squadra, ho bisogno di mantenere un po’ di distacco. Quindi molto riguarda solo la consapevolezza emotiva e l’autogestione emotiva, che puoi utilizzare per gestire le relazioni all’interno di un insieme molto diversificato di persone. E’ questo il cuore dell’autogestione, è quella la comprensione emotiva.

 

Rachel Salaman: Ti sei imbattuto in team leader che semplicemente non sono adatti a quel ruolo?

Phil Hayes: Molte volte.

Rachel Salaman: E cosa possono fare, cosa dovrebbero fare?

Phil Hayes: Beh, ci sono alcune cose che possono fare a livello di abilità, sai, ci sono skills che la maggior parte dei leader può imparare, per gestire meglio i propri team. Alcune cose riguardano la personalità e potrebbero migliorare, chiedendo un po’ di coaching per lavorare su se stessi, per fare qualcosa di diverso, prendere degli impegni per cambiare. Direi che ci sono persone che non sono naturalmente adatte per essere un Team leader, ma possono essere aiutate a migliorare, per essere il meglio che possono essere, e fare molti progressi.

 

Rachel Salaman: Cosa consiglieresti a qualcuno che si è trovato in un ruolo di team Leader e, nonostante abbia avuto un supporto di coaching, sente che non è un Leader, ma che è un professionista (o qualunque professione fosse alla base del suo percorso originale di carriera)?

Phil Hayes: Come Coach non darei alcun consiglio, ma esplorerei con loro dove si trovano e dove stanno andando, e li aiuterei a cercare alternative; li aiuterei a guardare a cosa sono molto più adatti, chi sono veramente in termini di valori, convinzioni, personalità, senso di sé e, naturalmente, quali sono i propri obiettivi personali. Questo è l’approccio corretto del coaching, si tratta di aiutare le persone a riconoscere le parti importanti di se stessi e apportare i necessari cambiamenti per raggiungere ciò che vogliono ottenere.

 

Rachel Salaman: E se questo significa che si spostano da una posizione di leadership a un ruolo diverso, non potrebbe essere visto come un qualsiasi tipo di fallimento, o un passo indietro?

Phil Hayes: Beh, è ​​difficile, vero, voglio dire, è complicato perché le organizzazioni vedono queste cose in modo diverso, e in alcune organizzazioni puoi ottenere grandi consensi e stima essendo un grande professionista. Quindi se sei nel SSN puoi essere un consulente, se sei nella BBC puoi essere un produttore, ecc., ma in alcune organizzazioni arrivare al vertice significa essere un manager, significa essere un leader, e per loro può essere più scomodo. Ci possono essere alcune scelte difficili da affrontare, e chi ha detto che è facile? Non è facile per niente, molte persone devono prendere decisioni personali molto difficili, riguardo alla propria carriera.

 

Rachel Salaman: C’è una sezione nel tuo libro dedicata agli Interventi di Team Coaching, come li chiami tu, e con questo penso tu intenda gli eventi di squadra e le giornate fuori casa e cose del genere. Nella tua esperienza, tutti i team traggono vantaggio dagli interventi di Coaching o si adattano solo a determinati tipi di team o organizzazioni?

Phil Hayes: Penso che sia adatto solo ad alcune squadre, potrebbe non essere adatto a tutte le squadre; a volte, ritengo utile avere riunioni piuttosto convenzionali, per cominciare. Se sono, ad esempio, una squadra piuttosto conservatrice o una squadra piuttosto timida, potresti non volerli portare in una sorta di grande abbuffata esperienziale, potresti semplicemente voler dare loro la sicurezza di avere prima un dialogo adeguato insieme. Quindi è una questione individuale, non c’è una formula universale, devi negoziare con loro, e puoi farlo solo se lo vogliono anche loro. In sostanza, come lavori con una squadra e cosa fai con una squadra dipende dal rapporto che crei con loro, dal contratto che hai con loro e dal grado di fiducia reciproca che c’è, e poi semplicemente continua ad essere una trattativa, fai quello che fai con loro, dove l’intero team decide insieme a te, non è proprio un diktat.  A volte potresti dire “Guarda, penso che sarebbe una buona idea”, ma è molto diverso dal dire “Devi farlo, sai, questo è quello che penso tu debba fare”, devi negoziare ogni secondo del percorso.

 

Rachel Salaman: Quindi, se tu e il team pensate che sia una buona idea fare uno di questi interventi, quali sono alcune delle cose utili che potete fare?

Phil Hayes: Per molto tempo ho dato ai team qualcosa di diverso su cui lavorare, dando loro un problema da risolvere; dà enormi risposte e si eccitano quando gli viene dato un compito. Quindi, ad esempio, puoi far mappare, utilizzando la teoria di Belbin, come le persone si comportano in un determinato tipo di attività per la risoluzione dei problemi e puoi rivedere il modo in cui affrontano l’attività nel contesto di come lavorano insieme. Si può semplicemente porre domande del tipo: “Come si relaziona ciò che abbiamo appena fatto con il modo in cui lavoriamo normalmente insieme, quali sono le analogie che dovremmo tracciare qui e cosa abbiamo imparato dal lavoro che abbiamo appena svolto, questo particolare compito che potrebbe essere utile nel modo in cui ci avviciniamo al lavoro in generale?” Quindi ci sono potenti metafore per condurre le persone a fare cose proattive, che possono anche creare un rapporto e facilitare una discussione migliore quando le persone si divertono un po’ insieme, quando svolgono un’attività intenzionale, quando affrontano sfide, quando devono lavorare insieme in modi diversi. Tutto questo può creare molta più fiducia l’uno nell’altro, creare un rapporto. Molti vantaggi, quindi.

 

Rachel Salaman: Puoi parlarci dei diversi stili di apprendimento e di quanto sia utile saperlo?

Phil Hayes: Sì. Devo dire che non mi preoccupo troppo degli stili di apprendimento, tranne per il fatto che so che le persone imparano in modi diversi e mi piace considerarlo in un programma di team coaching. Ad alcune persone piace, ad esempio, se fai un’affermazione su ciò che potrebbe essere buono in termini di leadership o comportamento di squadra, altre persone hanno bisogno di sapere da dove viene tale affermazione, vogliono conoscere la teoria, vogliono sapere le origini della tua idea. Alcune persone vogliono anche conoscere i riferimenti che stai citando, sai, quindi alcune persone vogliono davvero sapere con quale autorità referenziale parli. Ad altri piacciono le cose pratiche, ad alcune persone piacciono le sessioni altamente riflessive, a qualcuno piacciono le cose che riguardano la pianificazione nel futuro, molto pragmatiche, e tutte queste cose sono stili di apprendimento in effetti, sono stili di apprendimento ben consolidati e ben noti. Gli interventi di team coaching che creo, riflettono il fatto che le persone hanno bisogno di quella varietà; tutte le squadre hanno bisogno di un po’ di varietà nel modo in cui imparano, altrimenti tutto diventerà stantio abbastanza rapidamente.

 

Rachel Salaman: Quindi, se hai un Team che dimostra molti stili di apprendimento diversi, provi a mettere insieme qualcosa che funzionerà per tutti?

Phil Hayes: Esattamente, che sia valido la maggior parte delle persone allo stesso tempo. Li coinvolgo nella discussione, sai, dico “Ho notato che abbiamo parlato molto, come vi sentite a riguardo, vogliamo fare qualcosa di diverso?” Quindi tengo vivo il processo con le persone e mantengo le persone critiche nei confronti del processo e del contenuto.

 

Rachel Salaman: Hai parlato poco prima dell’importanza della cultura di un’organizzazione. Puoi parlarne un po’ di più, che differenza fa la cultura nel modo in cui le squadre performano?

Phil Hayes: Penso che faccia un’enorme differenza in termini non solo di come performano, ma anche di come pensano, si comportano e si relazionano. Mi piace molto pensare che, nelle organizzazioni, il linguaggio sia un riflesso della cultura, quindi, ad esempio, a volte puoi sentire molto chiaramente nel discorso di una squadra esattamente qual è il modello mentale che hanno per la loro organizzazione. Ad esempio, ho lavorato con un’organizzazione dell’industria aerospaziale, dove un membro del team ha detto “La battaglia per la supremazia dell’aria sarà combattuta sul Pacifico” e quando l’ho sentito ho pensato “La metafora degli affari di questa squadra è la guerra“. Dissero “Ci sarà sangue, dovremo mandare i nostri migliori uomini in trincea”, tutto quello che dicevano era una specie di metafora bellica, e così l’ho portato alla loro attenzione e ho detto “Guarda, è così che stai parlando, la mia sensazione è che questo potrebbe essere un riflesso della cultura ed è una sorta di guida del tuo comportamento, diamo un’occhiata agli aspetti positivi di questo linguaggio, ma guarda anche gli aspetti negativi”. Senti altre squadre comportarsi e parlare come se fossero famiglie, senti quel tipo di linguaggio dai Leader, tipo “mamma e papà”, lo senti anche nel modo in cui si relazionano e nel modo in cui le dinamiche del gruppo lavorano, e ancora una volta puoi portarlo all’attenzione del team e dire “Bene, guarda, diamo un’occhiata alla cultura di questo team e alla cultura dell’organizzazione circostante, e guarda come ti influenza, come ti aiuta, ma anche come potrebbe ostacolare ciò che provi a fare.”

A volte mi piace guardare quella che chiamo la cultura dell’ombra, che è la cultura che non è palese ma che è comunque presente; spesso la cultura dell’ombra è altrettanto potente quanto la cultura adottata a supporto e può spingere le persone a comportarsi in modi che non necessariamente capiscono intellettualmente ma è ciò che li guida comunque. Un esempio è un’organizzazione che conosco, in cui il valore dichiarato è: “Ci prendiamo cura della nostra gente e facciamo tutto per la nostra gente”; eppure, in quella stessa organizzazione, dove affermano che si prendono cura della loro gente, se un manager sottopone un problema a un senior manager, quel manager che ha chiesto aiuto per risolvere il problema, è praticamente considerato un “morto nell’acqua”. La regola è “Non venire con un problema, vieni con una soluzione, e se vieni con un problema sei nei guai”.

 

Rachel Salaman: Quindi è utile per le persone all’interno dell’organizzazione fare un passo indietro, dare un’occhiata e provare davvero ad analizzare sia la cultura dichiaratamente abbracciata, che la Cultura dell’ombra?

Phil Hayes: Molto utile, anche solo per riconoscere in che tipo di cultura si trovano, se ciò potrebbe essere limitante, e delle opportunità che una particolare cultura potrebbe creare. Penso che tutte le culture abbiano i loro pro e contro, la metafora della macchina è piuttosto prevalente, sai, quindi la gente parla di “macchina ben oliata” e “ingranaggi nella ruota”, “mettere i pezzi nel posto giusto per far funzionare tutto”. La metafora dell’automobile è ottima se tutto ciò che stai cercando è l’efficienza, ma se volessi la creatività potresti aver bisogno di pensare a un diverso tipo di metafora, potresti pensare all’organizzazione come a un gioco, per esempio, o come un atto della creazione; semplicemente cambiando la metafora, si può cambiare il pensiero, che può essere molto, molto utile. Ho una serie di piccoli esercizi che faccio con i team, per aiutarli a capire le metafore che sono nella loro mente, e anche per aiutarli a creare metafore più positive per il futuro, verso cui crescere. È qualcosa che spesso trovano piuttosto stimolante e interessante da fare.

 

Rachel Salaman: Quindi, dalla tua esperienza di lavoro con i team nel corso degli anni, quali sono i passi più efficaci che qualcuno potrebbe intraprendere domani, se volesse iniziare a sfruttare tutto il potenziale dei membri del team?

Phil Hayes: Farei solo dei passi molto pratici, parlerei con tutti e chiederei a tutti i membri del team cosa pensano, cosa provano riguardo al team, come è e come dovrebbe essere. Otterrei dei dati utili per far capire loro cosa pensano di loro stessi. Potrei anche ottenere alcuni dati dai loro stakeholder, quindi forse chiederei ai loro clienti, ad altri dipartimenti, altre organizzazioni che si riferiscono a loro, per poter dare loro un’immagine di se stessi; quando hanno alcuni dati su come sono, possono iniziare a pensare su come devono essere, e poi puoi iniziare a definire gli obiettivi e iniziare a dedicarti a qualche attività molto propositiva con loro. Quindi penso che l’inizio sia avere un’idea molto chiara e radicata di dove ti trovi ora, e poi iniziare a sviluppare un’idea molto chiara.

 

Rachel Salaman: Quanto tempo ci vuole, o è solo come dire “Quanto è lungo un pezzo di spago?”

Phil Hayes: Beh, in realtà trovo che devi essere piuttosto pragmatico, essere veloce. Sai, le squadre non hanno molta pazienza per le cose molto prolisse e lunghe. In generale, trovo che a loro piacciano i risultati, e se l’intervento di una squadra ha un qualche potere, deve avere slancio. Quindi cerco di fare le cose in modo ragionevolmente rapido e di fare una mossa in modo che possano vedere le cose che accadono e possano vedere che non è solo qualcosa che è stato detto un giorno e poi non significa nulla il giorno successivo, devi continuare lo slancio in corso.

 

In breve

Se l’argomento ti interessa, Il titolo del libro di Phil è “Leader and Coaching Teams to Success: The Secret Life of Teams“. Per altri spunti, leggi l’articolo Manager vs. Leader, il grande dibattito  e anche l’articolo “Le zone erronee del Leader Autoritario”.

Se non conosci qual è il tuo Stile di Leadership, approfondisci leggendo l’articolo.

 

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Roberto Cajano
Roberto Cajano

Roberto Cajano fondatore di Società Italiana Coaching Aziendale da più di 20 anni collabora con grandi aziende multinazionali inizialmente come consulente manageriale e poi come business coach. Come Trainer e Coach si impegna costantemente per portare la cultura delle alte prestazioni in azienda e lo fa attraverso i programmi di Società Italiana Coaching Aziendale.

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